Associazione Culturale Shen Dao - Piccola Scuola di Shiatsu - Pradamano (UD)
Il Tuo Benessere per l'Altrui Benessere: Corsi Amatoriali-Propedeutici e Professionali di Shiatsu a Pradamano (UD) - FVG
18.9.16
Chi Siamo
Proposta didattica
Prendersi cura di sé per poter prendersi cura degli altri
Corso Base :
I° Segmento: durata 30 ore.
Programma:
- Acquisizione dei fondamentali dello Shiatsu quindi corretta postura, corretta pressione e corretto atteggiamento mentale.
- Il lavoro a due mani: Mano Madre e Mano Figlia.
- Apprendimento delle sequenze (kata) da prono e da supino in forma semplice con un trattamento che prevede la pressione con il pollice, del palmo della mano, bidigitale e delle nocche con il pugno chiuso.
- Trattamento completo della schiena e delle gambe (Meridiano energetico di Vescica Urinaria secondo la Medicina Tradizionale Cinese e secondo il M° Masunaga) da utilizzare nel caso di disarmonie del Meridiano (lombalgie, dorsalgie, sciatalgie).
- Attività di self massage (DoIn), esercizi Makko-Ho, rilassamento e propriocezione.
II° Segmento: durata 105 ore.
Programma
- Svolgimento dei kata prono, supino e laterale in forma completa.
- Teoria dei Meridiani Energetici (forma semplice).
- Utilizzo dei principali punti sui Meridiani (tsubo) in funzione della loro utilità nelle varie disarmonie.
- Kembiki o manovre di mobilizzazione articolare.
- I 3 grandi Meridiani Posturali (Vescica Urinaria-Stomaco-Vescicola Biliare) e loro utilizzo.
- Trattamento del volto e della testa.
- Trattamento dei Meridiani del collo, ed i punti correlati, per le disarmonie del tratto cervicale.
- Il Vuoto ed il Pieno (Kyo-Jitsu).
Attestato finale di frequenza
Altri percorsi
Prendersi cura di sé
per poter prendersi cura degli altri
per poter prendersi cura degli altri
La Coda del Drago
Teoria e pratica di alcune tecniche terapeutiche popolari dell'area estremo-orientale. Vedremo assieme Moxa, Coppettazione, Guasha, alcune metodiche manuali legate a quelle particolari espressioni energetiche che sono
Teoria e pratica di alcune tecniche terapeutiche popolari dell'area estremo-orientale. Vedremo assieme Moxa, Coppettazione, Guasha, alcune metodiche manuali legate a quelle particolari espressioni energetiche che sono
i Meridiani Tendino-Muscolari.
Prenderemo in considerazione diversi aspetti del pensiero classico cinese (MTC) .
Si richiede come prerequisito la conoscenza minima di questi concetti oltre ad avere dimestichezza con lo shiatsu o con tecniche energetiche affini.
13.10.08
Che cos'è lo Shiatsu
SHIATSU in giapponese significa letteralmente “premere con le dita” e questo essenzialmente viene eseguito durante un trattamento SHIATSU : l’operatore attua, sul corpo della persona che le riceve distesa a terra su di un “tatami” una serie di pressioni che principalmente vengono effettuate con il pollice, ma anche con le altre dita, con il palmo delle mani, con il pugno e talvolta anche con il gomito od il ginocchio. Le pressioni vengono effettuate alternando la posizione prona, supina, laterale o seduta a seconda delle esigenze del momento. Di rado queste pressioni sono dolorose perché questo non è il loro scopo. Non si tratta di intervenire su di una situazione patologica o di ridurre una contrattura o un infiammazione ma bensì di seguire lungo il corpo il percorso di uno o più meridiani energetici che, coinvolti in fasi di squilibrio non diffondono adeguatamente energia nel territorio di loro competenza e possono creare le situazioni di cui sopra. Abbiamo nominato la parola “meridiani” perché lo SHIATSU è sicuramente debitore della ricca cultura terapeutica rappresentata dalla Medicina Tradizionale Cinese che attraverso la mappatura del corpo umano in 12 meridiani principali, più altri collaterali, ci dà un incredibile griglia di lettura del concetto di salute e ci offre svariati metodi terapeutici il più noto dei quali è sicuramente l’agopuntura. L’analogia comunque termina qui, perché laddove l’agopuntura è vero e proprio atto terapeutico, lo SHIATSU si offre come fonte di sostegno affinché il sofisticato meccanismo umano ritrovi la forza e la capacità di autoriequilibrarsi attraverso lo sblocco delle tensioni che lo ostacolano. Le pressioni nello SHIATSU vengono portate perpendicolarmente all’asse del corpo e vengono mantenute ciascuna per alcuni secondi e, con il particolare ritmo che assume il trattamento, possono provocare un lieve torpore a cui è consigliato di non opporsi. Rilassarsi è la parola d’ordine, solo così si avrà la possibilità di mettere in moto una serie di processi biochimici che attenueranno gli effetti dello stress continuo a cui siamo sottoposti, troppo spesso a nostra insaputa, oltre limiti pericolosi. Lo SHIATSU si riceve vestiti: è opportuno indossare abiti leggeri possibilmente senza cerniere o bottoni per non ostacolare l’azione dell’operatore. E’ meglio effettuarlo a digiuno o dopo uno spuntino leggero lontano comunque da caffè, alcolici o altre sostanze alteranti.E’ molto utile in gravidanza così come in situazioni di disagio emotivo. Non è alternativo, anzi può essere in parte compensativo ad una eventuale terapia farmacologica di chi lo riceve. (tavola delle estensioni di Masunaga dei meridiani tradizionali)Senza inoltrarci nella spiegazione dei concetti relativi alla diffusione energetica ed al suo riequilibrio, difficili da concepire per la cultura occidentale pur se facilmente verificabili, possiamo evidenziare come lo SHIATSU apporti considerevoli ed immediati benefici al sistema circolatorio sanguigno come a quello linfatico esplicando un’evidente azione drenante dei liquidi in eccesso. E’ controindicato a chi ha forme degenerative gravi, ferite non rimarginate, a chi è nella fase acuta di un trauma o a chi ha febbre alta.Di solito occorrono 5\6 sedute per avvertire gli effetti benefici dello SHIATSU ma talvolta anche una sola può bastare a rendere l’idea. Accostatevi senza timore a questa pratica che riflette millenni di saggezza orientale diretta al benessere psicofisico dell’individuo.
Sarete sicuramente in “ buone mani”
(Massaggiatore Cinese di Anma probabilmente in una fumeria d'oppio - primi '900)
BUONO SHIATSU A TUTTI
15.9.08
Shiatsu tra Ben-Essere e Cultura Evolutiva
Pubblico volentieri un interessante scritto di Shizuto Masunaga Sensei sul significato di Sho (diagnosi complessiva) pubblicato nel testo "Shiatsu et médecine orientale"
Il “Byôki”
(la malattia), come ci rivela la formazione letterale della parola, comporta
non solo dei disturbi di natura fisiologica, ma anche dei disturbi di natura
psichica. Non sarebbe possibile perciò curare una malattia senza tener conto degli
stress provenienti dalla vita del paziente, in altre parole, dal suo contesto
familiare, ambientale ecc. Dietro tutto ciò che si manifesta nella forma, c’è
sempre il non-forma che gioca un ruolo un fondamentale. Dietro un libro - un
pensiero - che è stato scritto, ci sono molti pensieri che soggiacciono in modo
non scritto, sviluppatisi al momento stesso della scrittura. All’ombra di opere
che sono sopravvissute nel corso dei secoli, migliaia sono scomparse a causa di
vari incidenti o perché caduti nell’oblio. Un libro deve essere letto anche tra
le righe, un pensiero deve essere capito anche attraverso il non-detto ed è
nella perfetta conoscenza dei sintomi che non rientrano nella sua definizione che
si deve determinare uno Shô. Dietro
le sintomatologie presentate da un malato, ci sono dei disturbi che non sono
ancora affiorati allo stadio di sintomi, e dietro la sofferenza causata dalla
malattia, ci sono nel paziente delle cose che lo addolorano, di cui per lui è
difficile parlare. Ciò che sorregge il corpo visibile è lo spirito, che invece
è invisibile. Ogni squilibrio a livello fisico è la manifestazione di una
resistenza, a livello psichico e ambientale.
È assolutamente
impossibile capire tutto di un essere umano, che è così complesso. Non potremmo
avere la totale comprensione nemmeno della relazione più intima che ci sia, come
per esempio con noi stessi. A maggior ragione nel caso di un terapeuta che, per
quanto compassionevole possa essere, non riuscirà mai a capire la sofferenza di
un malato come lui la capirebbe su di sé. In questo senso, ogni individuo è fondamentalmente
un essere isolato. Ma è proprio perché esiste questa solitudine che esiste
l’amore. In questo risiede uno dei tratti caratteristici della relazione umana.
Quando, in una relazione umana, si instaura la fiducia tra due persone, non è
solo perché esse si conoscono bene a vicenda. Il malato è qualcuno che si trova
in una situazione in cui non è capito dalla sua cerchia. Non sapendo da solo cosa
fare, il malato ha bisogno dell’aiuto delle persone che lo circondano, ma che a
loro volta non sanno cosa devono fare per lui. In ciò il medico ha la sua
ragion d’essere. Gli animali selvatici, in quanto a loro, non si ammalano, per
il semplice motivo che, anche se capita loro di soffrire per motivi di salute,
sanno perfettamente come far fronte alla malattia; e quando non ci riescono
più, attendono la morte, semplicemente, non provando così alcun tormento. Più i
mammiferi si evolvono, più si integrano in una vita sociale sviluppata e hanno
bisogno della comprensione dei loro simili. Il malato è qualcuno che ha
difficoltà ad adattarsi nell’ambiente sociale. Uno degli scopi della cura è fargli
ritrovare le sue facoltà d’adattamento, e la bravura sta nel distinguerlo dal
malato psichico, poiché quest’ultimo non ha bisogno di cure per mancanza d’adattamento.
La medicina
occidentale, concentrando essenzialmente la sua attenzione sui disturbi
d’adattamento di tipo organico, rischia di perdere di vista il malato, poiché il
suo obiettivo principale è la cura della parte affetta. Se la medicina
orientale si qualifica come la medicina del malato è perché, considerando le
malattie come qualcosa di correlato a tutti i problemi d’adattamento della
persona, percepisce, nei sintomi, gli sforzi che quest’ultima compie per guarirsi.
La terapeutica, confidando nelle facoltà naturali dell’auto-guarigione, ha come
obiettivo quello di contribuire a queste facoltà. Considerando anche la
condizione psicologica del malato come una manifestazione della sua ricerca di
guarigione, la medicina orientale dà una notevole importanza a quest’aspetto.
Accogliere ogni segno sintomatico manifestato dal soggetto e prestare alle sue
sofferenze un ascolto attento è così qualcosa che si traduce nelle quattro
diagnosi di un medico che si interessa sinceramente al suo paziente e che cerca
di capire la sua situazione. Questo è un elemento importante perché il malato
possa fidarsi del proprio medico, ma la fiducia deriva anche dall’effetto che l’attitudine
di fiducia del medico ha avuto nei confronti del malato. Il fatto di dare
un’importanza particolare alla causa interna implica, da parte del Kanpô, la certezza che esista, nel
malato stesso, una facoltà innata di auto-guarigione. La fiducia del paziente,
inoltre, implica che egli riscopra, affidandosi al medico, la capacità delle
proprie forze nel vincere la malattia.
Questa relazione
stretta tra una persona e un’altra nella cura, come descritta da me sinora, è
quello che la psicoterapia moderna considera come il punto fondamentale perché
si compia la terapia tramite il colloquio. È sorprendente come la medicina
orientale, 2000 anni fa, avesse già integrato quest’aspetto nelle cure mediche.
Sì può tuttavia sostenere che se la medicina orientale ha in seguito vacillato
a causa dell’influenza della medicina occidentale moderna è perché l’importanza
dell’aspetto relazionale nella cura non è stata più contemplata. Penso che
l’analisi sui quattro sistemi diagnostici del Kanpô dovrebbe condurci a ridare al Kanpô tutto il suo valore e che un riavvicinamento tra la medicina
orientale e quella occidentale sarebbe la strada giusta.
In psicoterapia si
insegna che l’azione della cura dipende in gran parte dalla comprensione che il
terapeuta ha del paziente. Dal punto di vista terapeutico, infatti, la
conoscenza che il soggetto ha di se stesso, e che esprime, attimo dopo attimo,
sotto lo sguardo del terapeuta, ha un significato molto più importante del
fatto che il terapeuta o il soggetto stesso abbia un’immagine precisa della
patologia. E questa conoscenza che il paziente ha di se stesso non viene tanto
dall’osservazione clinica che fa il terapeuta per avere una conoscenza
obiettiva del suo caso quanto piuttosto dal fatto che il terapeuta cerchi di
capire il paziente entrando in un rapporto di empatia con lui e stimolando il
coinvolgimento. Credo che in questo risieda l’importanza dello Shô. Lo Shô corrisponde senza dubbio alle sintomatologie esposte dal
soggetto, tuttavia non deriva dall’immagine fornita e obiettiva della
patologia, bensì da ciò che il soggetto stesso ha espresso, istante dopo
istante, sotto lo sguardo del terapeuta. È quindi impossibile per il medico
determinare lo Shô senza aver avuto
un colloquio con il paziente. Ciò che il medico ha capito, riguardo alla
sintomatologia del paziente, instaurando un legame di empatia e coinvolgendo il
paziente stesso, e non procedendo all’osservazione clinica del caso al fine di
avere una conoscenza obiettiva, è ciò di cui il paziente ha preso
consapevolezza, riguardo a se stesso, e che il terapeuta ha carpito. Lo Shô, in altre parole, corrisponde sia a
quello che viene espresso dal paziente che a quello che il terapeuta capisce.
Questa comprensione, inoltre, non avviene per pura cognizione, ma attraverso
l’atto terapeutico medesimo.
Nel momento in cui non
si va oltre la prescrizione farmaceutica che corrisponde allo Shô [”Oshô-Sôtaï”[1]]
così come descritta nel “Shan-Gan Lun”, così come in questo
testo lo Shô è designato
direttamente dal nome di un farmaco, si tende a pensare che questo sia
semplicemente un metodo per individuare i farmaci da prescrivere. Da qui, per
qualcuno, deriva la concezione semplicistica che lo Shô sia una chiave adattata a un buco della serratura. L’idea che
se si trova una chiave, adattata al malato, questa chiave porterà alla
guarigione, non è per niente diversa dal modo di pensare della farmacologia
occidentale. La teoria che ne deriva è che se non si riesce a trovare la chiave
l’unica soluzione sarà di entrare per effrazione/scasso, tramite cioè un
intervento chirurgico. Una visione di questo tipo, che dà troppa importanza ai
farmaci e considera il medico come una figura centrale, ha negli ultimi tempi
funzionato con un certo successo grazie all’effetto di suggestione che ha
prodotto nelle cure mediche improntate sulla personalità del medico; ben presto
tuttavia, trascinata nella politica commerciale a immagine dell’Occidente, ha
scatenato danni provocati dall’abuso di farmaci e dalle malattie derivanti da
questi ultimi.
Bisogna ora soffermarsi
sul concetto di Shô che, nella sua
essenza, è una forma di conoscenza riguardante il soggetto, il cui obiettivo è
la cura da parte del medico e che deriva da una classificazione di quello che
il medico ha capito toccando con mano il caso del paziente. Benché, secondo il
metodo praticato dal medico - Tôeki,
Shin-Kyû o Shiatsu, si osservino
delle differenze nel modo di classificare lo Shô, questi metodi terapeutici vanno sostanzialmente tutti nella direzione
di condurre il malato, attraverso la comprensione - che il medico ha- della sua
naturale capacità di auto-guarigione, per fargli prendere consapevolezza di
questa capacità insita in lui. Ovvero, se il medico fa prendere consapevolezza
al paziente che la guarigione del suo male è di competenza essenzialmente dalle
sue stesse facoltà vitali, il paziente stesso, rendendosi conto che l’origine
del suo male è dentro di lui, accetterà di vedere, nella sofferenza della
malattia, uno sforzo compiuto dal suo organismo per tentare di correggere lo
squilibrio e assumerà da quel momento in poi la responsabilità della propria
vita, confidando pienamente nelle proprie risorse vitali. Il ruolo del medico
perciò è di creare una condizione in grado di suscitare nel paziente, in modo
auspicabile, una tale predisposizione di spirito. La prima cosa che il
terapeuta deve fare quindi è di instaurare con il malato una relazione umana
tale da fargli ritrovare nel prossimo la fiducia che aveva perso. Se tuttavia,
quando si ripristina il rapporto di fiducia, il paziente viene sopraffatto
dalla sua cerchia, si ritorna al punto di partenza. Così come un malato
psichico, quando sembra guarito all’ospedale, si ammala nuovamente non appena
ritorna nel suo ambiente sociale, il medico, nelle circostanze attuali del
mondo in cui viviamo in cui ci sono solo infinite ragioni per sfornare malati,
anche se fa del suo meglio per curarli, il medico si ritrova alla fine a non
poter più raggiungere l’obiettivo essenziale che è quello della terapia medica.
Nel sistema medico giapponese attuale, in cui più il numero di malati aumenta,
più i medici guadagnano soldi, nessuno più si preoccupa della medicina
preventiva, che non contribuisce a far guadagnare molti soldi. Quest’aspetto racchiude
qualcosa di molto pregiudizievole per la nazione e che non farà altro che
peggiorare la situazione patologia del paese. I medici dovrebbero ritrovare la loro
missione iniziale che era al servizio del paese, ma ciò è possibile solo per
coloro i quali sono stati istruiti a una concezione corretta della cura del medico
intesa come cura della persona umana. Secondo il mio parere ciò dovrebbe essere
possibile, mediando una cooperazione con la medicina occidentale che grazie a
uno studio corretto del pensiero della medicina orientale sta in questi anni rimediando
agli errori e ridando importanza alla medicina psicosomatica. Una tale
cooperazione può essere possibile solo se presente una comprensione reciproca,
e perché questa sussista, c’è bisogno che ognuna delle parti capisca
esattamente le proprie peculiarità. Credo che correggere l’attuale deriva del
sistema medico è uno dei compiti urgenti che la medicina orientale e quella
occidentale devono imporsi.
[1] Oshô-Sôtaï: “O” è un’abbreviazione del
termine “Yakuhô”: prescrizione, farmaco prescritto; “Shô” è la diagnosi a
seguito dei sintomi presentati dal malato, che comporta la prescrizione di un
farmaco; “Sôtaï” corrisponde al
concetto di rapporto fra due cose - “Oshô-Sôtaï”
è il principio terapeutico per il quale i farmaci devono essere prescritti in
funzione dello Shô.
tr. a cura di D. Gregoretti per "Shen Dao-Istituto Culturale-Quaderni di Shiatsu"
tr. a cura di D. Gregoretti per "Shen Dao-Istituto Culturale-Quaderni di Shiatsu"
Tecnica Disciplina Percorso Esperienza
La teoria muta la realtà che tenta di spiegare. E' una citazione tratta da un libro di Philip Dick, scrittore che più di altri forse ha demistificato le realtà apparenti, ed anche ultime, che a sua volta è probabile abbia citato da altra fonte, forse da Einstein o altro geniaccio della fisica teorica, chissà, però si adatta benissimo ad ogni tentativo che, nel corso di vari momenti, ci capita di mettere in atto per spiegare e spiegarci lo shiatsu, dato che sempre ci sfugge alla fine quel qualcosa che ci sembrava lì, definitivamente a portata di mano. E' riduttivo dire che lo shiatsu sia una tecnica anche se possiede un indubbia componente tecnica. Più appropriato definirlo una disciplina, chi vi si accosta deve sicuramente farlo con rigore, ma anche questo non è sufficiente a definirlo. Lo shiatsu ha carattere proteiforme e cangiante: quando pensi di averne afferrato l'essenza ti accorgi che più avanti scorgi un'altro lampo luminoso che brilla e ti richiama e non farsi illuminare da questo rende meno significativo il percorso fatto fino ad allora...toh! ecco che spunta una definizione più appropriata: percorso. Che sia in effetti un percorso nel vero senso del termine, con cambi continui di vedute e prospettiva è incontestabile, ma anche il termine percorso crea un'immagine limitativa: si va da qui a lì, ma lo shiatsu ti pone talvolta dei cambi di velocità e di posizionamento così radicali che non sempre è identificabile con il termine percorso, per lo meno non nel senso, o nei sensi, comune\i. L'ultimo termine che può venirci in mente che ci aiuti a definirlo, tenendo comunque sempre validi i precedenti tre, è esperienza, e qua sembra che ci siamo un po' di più.
Questo, per chi si accosta per la prima volta alla pratica, può apparire un ragionamento astruso e non pertinente; in fin dei conti, se non lo si collega all'utilizzo che si ritiene si debba fare dello shiatsu, ovvero supportare il nostro ricevente nel raggiungere una miglior condizione psicofisica, probabilmente rischia di essere in effetti un po' un esercizio mentale inutile. Quindi cerchiamo di dare spiegazione convincente a quanto asserito innanzi e cerchiamo anche di farlo collimare con le nostre esigenze pratiche.
Lo shiatsu, perché abbia una sua incisiva efficacia, necessita, oltre che delle prerogative tecniche specifiche del tipo di pressione da attuare, ovvero perpendicolarità, costanza e mantenimento del gesto, oltre che di una sua capacità di penetrazione, anche di una prerogativa a monte, relativa allo stato mentale e psicologico di chi pratica, ossia la disponibilità, o meglio, la disposizione. Tra disponibilità e disposizione, anche se termini sinonimi, esiste una sostanziale differenza: laddove la disponibilità esprime uno stato d’animo in cui la volontà del soggetto è determinante nell'orientare la direzione verso cui si ritiene di poter o dover attenuare una certa forma difensiva del proprio io per essere in grado di attuare uno scambio di qualsivoglia natura all'esterno apparentemente senza, o con poche, condizioni (infatti si dice, con affermazione soggettiva, rendersi disponibile) significando quindi, in ogni caso e secondo una prospettiva naturalmente ed umanamente egoistica, che valutando pro e contro esiste la possibilità fare un proficuo scambio, sempre di qualsivoglia natura, con minimo rischio (diffidare quindi sempre di chi annuncia troppo disinvoltamente il proprio essere disponibile come valore etico), la disposizione, caratteristica questa oggettiva, rappresenta invece un’apertura incondizionata a 360° a coinvolgersi in un’esperienza determinata od indeterminata, aldilà di un computo speculativo di dare ed avere, avendo la precisa consapevolezza che qualsiasi esperienza, ed a maggior ragione un’esperienza voluta e cercata, darà sempre e comunque degli utili importanti in termini di evoluzione, trasformazione e cambiamento, e tale è l’esperienza dell’altro, e con altro intendiamo in questo contesto il nostro ricevente, nella pratica dello shiatsu. Se noi siamo ben disposti, il nostro ricevente rappresenterà un’esperienza unica ed irripetibile che ci arricchirà di conoscenza al pari di un viaggio in una terra lontana e misteriosa, e come noi cambiamo e ci trasformiamo quando sperimentiamo qualcosa di unico ed irripetibile, come appunto sa chi ha affrontato un viaggio, non da turista oppure anche da turista, in un paese dove è rimasto coinvolto in usanze assai diverse dalle proprie ed abituali, ma il paragone può beninteso essere esteso a qualsiasi esperienza particolare che continuamente la vita ci offre, così cambiamo e ci trasformiamo nel praticare lo shiatsu ogniqualvolta la nostra disposizione è al massimo grado limpida, disinteressata ed elemento di soddisfazione. Quindi ogni volta noi sperimentiamo l’altro, e l’altro peraltro parimenti specularmente sperimenta noi in un unico continuum energetico, con la giusta e dovuta disposizione, ne veniamo cambiati e trasformati, perlomeno nella misura in cui siamo disposti al coinvolgimento; ne consegue che ogni volta che ne veniamo cambiati e trasformati affrontiamo l’esperienza successiva spesso in modo radicalmente diverso dal precedente ed a questo punto risulta ovvio che, riallacciandosi a quanto detto ad inizio di paragrafo, ossia che ”la teoria muta la realtà che tenta di spiegare”, sia alquanto arduo tentare di sistematizzare e teorizzare in modo completo la pratica dello shiatsu. Rimane così estremamente utile e proficuo, invece, il noto consiglio di non confondere mai la mappa con il territorio che descrive, come ogni buon viaggiatore, o buon turista, beninteso, ha provato sulla sua persona…..OK se l'avete ben digerita....buon viaggio e buono shiatsu.
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